Diario di Mariuccia - gennaio 2011
 Pubblicato il 26 maggio 2011 

 

In effetti questo diario racconta due mesi di permanenza di MARIUCCIA in India, da meta’ Gennaio a meta’ Marzo. Qui di seguito abbiamo pensato di pubblicarne solo un estratto, alcuni giorni tra i piu’ significativi e commoventi. Chi fosse interessato alla versione completa, puo’ richiederla o via mail, utilizzzando il servizio del sito, o contattando direttamente Mariuccia allo: 0125 58188.

DIARIO DEL….

26/01/2011

 Sveglia alle 5 perché devo andare a Mother hause. Per incontrare L. Alla Messa ci sono anche tutte le famiglie che sono venute a prendersi i bambini che hanno adottato. Sono 5 famiglie italiane, una di Napoli che è alla seconda adozione, una di Roma, due di Milano e l’altra non so di dove sia. Hanno preso in braccio il loro bambino, tutti tranne la bimba dei romani. Non molla la suora, la mamma le sorride, la tocca, la fa giocare con il suo anello, poi ogni tanto tende le braccia per prenderla ma lei si avvicina alla suora. Fanno tutti tanta tenerezza, i genitori sprizzano gioia, i bambini ( dai 3 ai 5 o 6 anni) sono vivacissimi, uno devono tenerlo fermo perché scappa in mezzo alla gente. Si fa festa tutti insieme, il prete che celebra annuncia la partenza dei bimbi per l’Italia. E’ proprio commovente. Da due anni non c’erano più adozioni, non davano più l’ok, adesso hanno riaperto e questi sono i primi a partire. I genitori sono qui da una settimana, ogni giorno stanno con i bambini a Sci Sciu Bavan, fanno conoscenza piano piano, domani mattina partiranno per l’Italia. Prima di partire per Sci Sciu Bavan si fermano con tutti i bambini sulla tomba di Madre Teresa, fanno qualche foto e poi via…verso le 7 partiamo per Premdam il posto dove per il momento è stato trasferito K. Ogni gruppo va secondo dove ti sei iscritto. Andiamo a piedi, è lontano, circa tre quarti d’ora a piedi con passo spedito. Si passa attraverso le stradine piene di gente, mercati, templi indù e poi attraverso la fine si attraversano i binari (anche questi pieni di gente), poi si fa un lungo pezzo a piedi su un viottolo ricavato al fianco di montagne di immondizia, pieno di sporcizia, di toponi vivi e morti, di bambini che ti tendono le mani, c’è di tutto. Finalmente arriviamo a Premdam e, chiuso il cancellone di ferro alle spalle, siamo al nostro posto. Io devo subito lavare Napkin (pannoloni di pezza a quadretti bianchi e verdi), pantaloni di pigiama da uomo, froks (grembiuli che vestono le donne malate) coperte e lenzuola. Solito metodo, soltanto un po’ più allo stretto. Ci sono tre bacinelle di alluminio in fila e poi c’è un grosso bidone di plastica. Tutti pieni d’acqua, nella prima bacinella c’è il sapone. Un giapponese e un masi indiano pestano dentro le cose da lavare, così va via il più grosso, poi si passano nelle nostre bacinelle, sciacquiamo due volte e alla fine buttiamo nel bidone di plastica per l’ultimo risciacquo. Dovrebbe venir fuori pulito (più o meno), solo da strizzare e portare a stendere. Questo è stato il mio lavoro delle prime ore, poi ho imboccato una che non mandava giù niente, dovevo obbligarla ma alla fine ci sono riuscita. Poi era ora di piegare la biancheria asciutta, poi lavare piatti e bicchieri del pranzo e poi a casa. Stavolta a piedi abbiamo fatto solo un tratto poi abbiamo preso un motorisciò per 10 rps a testa. A Kaligathi (Premdam) lavare Teresa che fa dressing tutta la mattina.Si torna a casa stanchissime, sempre per il caos di Calcutta, la gente, il rumore, l’inquinamento. Verso sera la mia vista si annebbia, non riesco più a veder nitido, tutto è un po’ offuscato. Provo a riposarmi un po’ ma non riesco perché tutti parlano, spero di riuscire a dormire questa notte perché quella passata l’ho fatta in bianco, gli occhi erano chiusi ma ero sempre sveglia. Devono essere partiti i giapponesi, si sentivano le loro voci, le risate, il rumore dei feri del cancello che il guardiano apriva, i taxi fuori che aspettavano sulla strada. Abbiamo pranzato a Premdam, ci hanno dato le solite gallette di latte, le cose di Madre Teresa e due patate bollite con un pizzico di sale a testa. Erano proprio buone. Stasera andremo tutte insieme a mangiarci qualcosa di meglio. A. continua a fare acquisti e qualcosa ha preso anche G., io ancora niente, aspetto gli ultimi giorni. Oggi è la festa della Repubblica, tutti i negozi chiusi, viaggiano solo pullman e taxi motorisciò e risciò. In Red road è pieno di gente, c’è la parata militare, tutta la polizia, anche a cavallo. Non ci si può avvicinare, A. (che è al suo penultimo giorno) ha provato ad andare ma le hanno chiesto i documenti e, siccome gli aveva lasciati al Paragou, l’hanno mandata indietro.

28/01/2011

Oggi A. è rimasta al Paragou per prepararsi a partire. Ha portato la sua giacca a un risciò puller, la coperta e le rupie rimaste a D., un po’ di colori e matite per me da portare al villaggio di M. nel Meghalaya. Io e le altre siamo andate a Kaligathi, loro sveglia alle 5, io alle 6 e mezza poi dopo la Messa ci siamo trovate tutte a Mother Hause per partire tutti insieme come di solito. A me fa bene alla salute ma è una gran sfacchinata. A un certo punto si deve attraversare uno slum e, meno male che siamo tanti (almeno 12 o 15) altrimenti sarebbe davvero un problema. I bambini tutti sporchi ti si appiccicano addosso, chiedono chocolat o caramelle e non si deve dare niente a nessuno altrimenti esci a pezzi. Stamattina ho lavorato da quando sono arrivata (7,30) fino a dopo pranzo quando le abbiamo portate tutte a dormire. Ho lavato e imboccato. La mia donnina ci impiega più di un’ora per mangiare un mezzo piattino di riso e dal – è una piccola banana -. Questa donna non riesce a mangiare perché ha una mandibola dura come un osso, gonfia. Il gonfiore e il durone vanno dietro la nuca, io me ne sono accorta perché l’ho osservata per un bel momento, ogni tanto faceva delle smorfie di dolore e metteva la mano sul gonfiore e con gli occhi mi faceva segno che aveva male. Eppure dovevo insistere perché è già uno scheletro e se non manda giù niente è ancora peggio. L’ho detto a T. e lei a sua volta alla suora la quale le darà un antibiotico. T. dice che potrebbe essere un tumore e che nessuno farà mai niente, aspetteranno che muoia. Che tristezza! Oggi A. ci ha offerto il pranzo perché poi stasera parte. G. sta sempre peggio, non so se reggerà, cammina a stento ma si sforza. Come sono fortunata io, ogni tanto ci penso e mi rendo conto che davvero non mi manca niente, ho tutto quello che desidero, soprattutto tanta gente che mi vuole bene. Penso a casa, a mio figlio, ai miei nipoti, alla loro mamma, alla fraternità uno ad uno mi passano davanti agli occhi, e R. che è come mio padre e fratello maggiore, e tutti. Però è bello stare qui in mezzo a questa gente, sento che mi viene regalato tanto, molto e molto di più di quello che io so fare per loro. Adesso smetto, è tardi, devo correre a Monica hause a cena con T. che mi aspetta. C’è un grosso topo che entra ed esce di continuo dal bidone dei rifiuti.

29/01/2011

Stamattina siamo andate a Premdam con il bus 202, perché G. faceva troppa fatica a piedi. Il pullman si ferma sul ponte, poi si fanno circa 300 mt a piedi di fianco allo slim e c’è subito il cancello di ferro che entra a Premdam. La mattina è stata intensa, lavato coperte, lenzuola, maglioni. Mettono 4 grossi mastelli di alluminio in terra, uno di fianco all’altro. Di qua e di là di ognuno ci mettiamo in due. Nel primo si mette acqua insaponata, generalmente il giapponese pesta a piedi nudi coperte e maglioni per qualche minuto saltellando sopra a tutto quello che è immerso nell’acqua, poi i primi due li strofinano un po’ con le mani, poi passano un pezzo per volta nella seconda bacinella, noi strofiniamo e sciacquiamo un altro po’ e passiamo nella terza. C’è sempre meno sapone. Stesso lavoro fanno e passano nell’ultima che è un bidone di plastica più grande. Qui sciacquiamo solo più, strizzano e mettono nei cestoni di vimini e i ragazzi portano in testa tutti i cestoni pieni a stendere. Questo è il lavoro più pesante perché devono fare tante scale per arrivare fin vicino ai tetti dove si stende. Ci sono volontari giovani ma anche tanti della mia età e anche di più. Alle 10 ci danno tè con biscotti e alle volte una banana, a volte patate bollite. Stiamo un quarto d’ora insieme a parlare fra noi. Gli ammalati di Kaligathi sono conciati male, infezioni, gambe rigide perché sono sempre stati accucciati sulle strade, magri come chiodi, spesso con le braccia ancora tese come facevano quando chiedevano per le strade di Calcutta. Quella senza braccia e gambe (finita sotto il treno) non parla mai, sembra che parli da sola, si guarda la mano rimasta e dice qualcosa che nessuno capisce. Chissà dove finirà quando uscirà di lì. Appena finito il break diamo da mangiare riso e dal, saranno 5 cucchiai di roba ma a loro basta, a volte non riescono a finire. Loro bevono solo a fine pasto, non prima. Mi viene da pensare guardandoli a quanta sofferenza devono essere abituati. Sono tutti indù, ce ne solo una cattolica. La mattina era passata liscia, sono già contenta che nessuno se l’era fatta addosso mentre io stavo loro vicina, stavo quasi per finire quando due hanno pensato bene di fare quello che io avevo sperato facessero con qualche altro volontario. Insieme alle masi, ho pulito e una l’ho messa nel letto e l’altra sulla panca. Non ero neanche girata che era già seduta per terra. Ho parlato un po’ con T. Ieri sera siamo state sue ospiti a cena a Monica hause, c’era anche quell’assicuratore di Trieste, lui ha lucidato i contenitori delle siringhe e dei ferri e anche tutti gli altri attrezzi, poi ha fatto la barba ai pazienti. Oggi ripartono il clown e la sua ragazza. Stamattina con A. sono andati lungo i binari, allo slim a fare uno spettacolo per loro. E’ un po’ rischioso perché poi ti vengono tutti intorno e sono tantissimi. Abbiamo telefonato ad A. e M. e pare stiano bene. Ci vedremo il 6-2-11 . Dovrei lavarmi ma non ne ho voglia, ho una gran stanchezza, Calcutta fa venire un gran sonno, anche per le strade sembra che tutti stiano sonnecchiando, sarà lo smog, il rumore, il caldo, non so, ma è così. Qui al Paragou è pieno di giapponesi, ho imparato due parole, ‘origatò’ che vuol dire grazie e ‘oaio’ che vuol dire come sta? Oggi pomeriggio, al ritorno da Premdam abbiamo solo guardato le foto e basta, eravamo tutte stanche.

Stamattina a Premdam, arrivate là eravamo già stanche. Ho lavato le plastiche e rifatto i letti. Poi intrattenute le pazienti con una di Honkong che sapeva fare gli origami. Poi incontrato gli altri volontari durante il break, dato da mangiare alla mia solita che ci impiega un’ora senza neanche finire tutto. La mattina è volata di corsa poi sul motorisciò al Ferlow hotel dove c’erano quelli di Roma (M., F., S., F. e M.). Abbiamo pranzato insieme, abbiamo discusso insieme il bilancio preventivo di A., ci siamo preparati un po all’incontro di domani, poi li ho portati tutti da D., siamo passati prima al forno a comprare un po’ di biscotti, poi loro hanno chiesto di andare a Messa a Mother hause alle 16, poi di nuovo a casa, per un piccolo riposo poi tutti insieme a cena al Circolai. G. ha traslocato da Monica hause e, da stasera, sono con A. I romani sono soddisfatti del giro che abbiamo fatto ed erano, come succede sempre, a bocca aperta, senza parole in questa città.

 04/02/2011

 Sveglia alle 5,20 però poi io non ho voglia di andare a Messa, A. e G. ci vanno sempre. Io le raggiungo verso le 7 per la colazione a Mother hause. Sono arrivati un mare di volontari. C’è ne una dal Texas, dal Belgio, dall’Olanda è arrivata una ragazza giovanissima che vuole girare l’India. La mattina a Premdam scorre veloce. Manca una delle donne, è morta ieri. Alcune sono malconce. Pur non conoscendo il bengali e lei non conoscendo l’inglese ho avuto modo di fare una lunga chiacchierata con una di loro. Mi ha spiegato che si chiama Sirupa Muccarjee, che a Calcutta ha due fratelli, con i quali però non ha rapporti, che non è sposata, non ha figli. Mi ha detto che è finita sotto una macchina e proprio per questo le hanno tagliato via completamente l’orecchio sinistro e il mignolo e l’alluce del piede sinistro. Mi ha spiegato che a Calcutta i cognomi sono: Muccarjee, Banerijee, Chatterjee, Das e Mondol. Questi sono i cognomi a Calcutta. Si sta avvicinando S. e stamattina prima di scendere gli scalini che portano all’entrata di Premdam c’era un uomo (in mezzo un una nuvola di bambini) con un cesto di vimini in mano e dentro un bel cobra. Tutti gli buttavano dentro una monetina. Io ho tirato dritto senza fermarmi perché mi faceva tanto schifo e temevo che me lo metterò al collo in segno di festa della dea. Prima di uscire poi avevo il terrore che fosse ancora li fuori e invece, per fortuna, no. C’erano vicino al portone alcune bambine con uno scricciolo in braccio, dicevano che erano i loro figli, non so se fosse vero. Sembravano tredicenni. La mia nonnina con l’influenza alla mandibola è stata tagliuzzata dalla suora in diversi punti per farle uscire il pus. T. non voleva, lei avrebbe voluti farle antibiotici, ma ormai la suora l’aveva fatto. Comunque sia, adesso mastica leggermente meglio. Alle 14 abbiamo pranzato, A. se ne è tornata in stanza al Paragou, non so perché, ma aveva il magone, voleva dormire un po’ prima di tornare a Daja Dan. Mentre scrivo c’è un topo che esce da dietro il muro, viene avanti un po’, poi forse si spaventa di me e torna indietro. E’ già la terza volta, è bello grosso. Ci sono anche alcuni gatti, stanotte facevano versi, erano in amore. Qui non c’è mai silenzio.

09/02/2011

Premdam. Arrivo, sto un po’ con L. che, con lo sguardo pensa nel vuoto, mi tende le braccia. Mi accorgo che le sue mani non stringono come sempre e i suoi occhi neri neri non sono vispi come sempre. Ha sempre tanto catarro, è come un gorgoglio continuo. Anche la suora dice che sembra un po’ spenta. Anche la suora mi dice che è sempre un po’ spenta. La alziamo (lei è seduta sulla sedia di plastica) sollevandola per braccia e gambe e la portiamo sulla sua branda. Le danno colpi sul petto, per vedere se si riprende un po’, poi la superiore le fa la puntura. A questo punto comincia ad aprire la bocca come se le mancasse il respiro, tira fuori la lingua, fa fatica a respirare, le mettono l’ossigeno, ma dura poco, dopo 5 minuti muore. L. non ha mai parlato, mi prendeva con le sue mani e appoggiava la sua testa rasata contro di me, stringendosi. E’ stata spogliata, (aveva solo addosso il solito grembiule a quadretti verdi) lavata solo con uno straccetto, le hanno infilato cotone in tutti i buchi (naso, orecchie, sedere) poi le hanno legato i due alluci l’uno all’altro, i polsi uno sull’altro, le ginocchia, tutto perché stessero vicini, poi l’hanno avvolta il un lenzuolo pulito, tutta coperta e avvolta come un pacco, prima le hanno detto qualche preghiera e poi è stata lì ad aspettare che si liberasse il forno crematorio. Con un carretto dovranno portarla al forno vicino Kaligathi per bruciarla. All’una era ancora lì per terra, nella stessa stanza dove ci sono le brande di tutte le altre, ad aspettare. Non so a che ora siamo venuti. Oggi è morto anche un uomo che due ragazzi (volontari) hanno raccolto sulla strada o sui binari della stazione. T. ha cominciato a fare le medicazioni ma non sono passati neanche due minuti che lui è morto. Era pienissimo di pidocchi che saltavano da tutte le parti, di sicuro gli avranno presi anche i ragazzi che l’hanno portato. Oggi ho imboccato (ormai L. non c’è più) quella con la mano bruciata, ha solo più un dito, non aveva le bende quindi ho cercato di evitare che mettesse la mano senza le bende nel piatto per tirare su riso e dal. Un’altra mi parla sempre, io non capisco una parola, ho solo capito che vuole andare a casa in Bihai dove ha 4 figli. Il marito non c’è più, penso sia morto. Solo il Padre Eterno sa come queste persone siano arrivate a Calcutta, per arrivare in Bihai c’è una notte e più di treno ed evidentemente lei è stata trovata sulla strada di Calcutta. Dei bambini non hanno più notizie, se riuscirà prima o poi a tornarsene a casa (la casa non ce l’ha) ma, evidentemente c’è un posto dove stanno, e lei sa più o meno dove cercarli. Dopo il break stamattina la responsabile ha chiamato tutti i volontari in stanza dove tengono i medicinali e molto seriamente ha pregato tutti di non portare assolutamente niente ai malati perché hanno trovato una bustina di Pan. Lei dice che sono tutte droghe, non so se sia proprio così, secondo me potrebbero essere cose molto leggere, le vendono dappertutto. Dice che il paziente le ha detto di averla avuta da un volontario, questo può essere. La suora dice che loro hanno l’abitudine di chiedere sempre, collezionano qualsiasi cosa, ciabatte, pomate, orecchini, caramelle e poi se le vendono per comprare la bustina di Pan, intanto loro non hanno bisogno di niente, vivono solo con uno straccio addosso e basta, tutto il resto è superfluo. Io comunque non ho mai portato nulla, capisco bene che non è giusto, anche se loro chiedono. La suora dice che così, anziché aiutarli a vivere, si aiutano a morire. Oggi è stato l’ultimo giorno per la spagnola di Madrid. Mi spiace perché era proprio carina e brava, in silenzio faceva tutto ciò che c’era da fare, abbiamo passato ore ed ore a lavare grembiuli e coperte. Mi abbraccia per salutarmi e le viene da piangere. E’ sempre commovente il saluto, mi dice che spera di rivedermi il prossimo anno. Andiamo poi con A. e G. al Blue Sky per yogurt e frutta poi io parlo per andare a trovare A. e M. che sono al loro ultimo giorno in India. Prendo la metro da Park Street fino a Dum Dum, poi da lì devo prendere un autorisciò. So già che è difficile da trovare. Chiedo ai risciò nessuno sa leggere, nessuno capisce Auxilium Convent Salesian. Vedo due ragazzi con camicia e cartella in mano, questi l’inglese devono saperlo. Mi dicono che anche loro vanno da quelle parti, salgo con loro, dopo un po’ bisogna cambiare, prendiamo un altro autorisciò e lui telefona al numero che gli do di Auxlium Convent. Gli spiegano dov’è ed io, quando scendo la seconda volta devo ancora prendere un risciò con la bicicletta. Spendo in tutto 5 rps, poi 4, poi 15 per la bici. E’ difficile stare sedute su queste bici perché i sedili sono strettissimi e si sta seduti a malapena, attenti a non cadere. Comunque arrivo a destinazione e incontro le due, una stanza con bagno tutta pulita, un cortile e scuola enormi, 1800 bambini vanno a scuola lì. Stiamo un po’ insieme, mi dicono che ieri sera ha telefonato Sr, Anna Francesca, dice che a Kurseong sono state uccise due persone e incendiato la macchina della polizia. Era molto preoccupata, lei ha portato su i bambini. Sr.Usha è su a mettere tutto in ordine, lei invece è a Siliguri con i più gravi. E’ molto difficile vivere in quei posti. Poi A. e M. mi hanno regalato le rupie che gli erano rimaste ed io me ne sono tornata in taxi fino alla Metro Station e poi da lì in metro fino a Park Street. Sono tornata al Paragou e dopo un po’ è arrivata A. Abbiamo scoperto di esserci mangiate 2 etti di margarina con pane la sera prima. Al supermercato ce l’hanno venduta per formaggio da spalmare. In effetti aveva un gusto strano, però siccome qui è tutto strano, l’ho spalmata come un formaggino e l’ho mangiata. C’è scritto Colesterol free, poteva andare bene, peccato che era margarina. A letto presto, fuori dalla porta un gran casino, risate, canti, chitarra e tamburo. Verso le 3 di notte ho sentito che qualcuno è intervenuto per far smettere, forse si vendevano qualcosa o comunque trattavano con i soldi perché sentivo dire che di notte in India non si Bargain (contratta), i numeri solo di giorno. Verso le 3 e mezza è sceso il silenzio. Gli spagnoli sono andati a letto. Io però sono riuscita a dormire lo stesso.

05/03/2011

 Qui viene chiaro presto, alle 6 ero già sveglia da un po’. Poi ho cominciato a sentire qualcuno che andava in chiesa (che è vicino alla mia stanza), quindi mi sono alzata. Alle 6,30 è arrivato, come ogni giorno il prete a dire Messa. E’ un prete indiano, Salesiano, dice Messa e poi fa colazione con le suore, poi se ne torna da dove è arrivato. Dopo colazione, un po’ di bucato quindi ecco che arriva J. e insieme andiamo alla Leper Colony dove ci aspettano tutti. Ormai ne conosco tanti, arrivano tutti a darci la mano con Jesu Narasau. Portiamo latte in polvere, biscotti, zucchero e tè. G. ha i braccialettini di filo per tutti, A. fa i braccialettini col filo di plastica, gonfiamo i palloncini, distribuiamo i colori, gomme e matite. I bambini sono felici e anche i grandi. Loro non hanno assolutamente nessun gioco, qualsiasi cosa per loro è un regalo. Ci avvicina un lebbroso, dice che vuole parlarci a nome di tutti. Dice grazie per quello che abbiamo portato, perché siamo qui con loro, dice che non hanno niente da darci in cambio, pregheranno per noi. Mi ha commosso vedere quell’uomo che, molto seriamente ci diceva ‘grazie, di essere accettati da noi. A. ha insegnato a due ragazze a fare i braccialetti, solo che il filo che aveva era poco e, finito quello, non hanno più niente. Dopo pranzo di corsa a Tebrangree, sempre con B. e R. Come sempre compriamo i Murà che sarà un problema trasportare fino a Shilloy e da Shillong a Guwahati, e da qui a Calcutta. Però poi vedremo. A. e G. comprano i piatti fatti con la corteccia d’albero di Betelnuts. Alle 16 tutti insieme prendiamo il ciai poi ritorniamo a Tura. Andiamo ancora a Manfort a trovare B. E’ felice di vedermi, ci sono tutti i figli e la bambina, manca solo il marito che è al mercato. E’ il tramonto è lì, in mezzo alla jungla dove stiamo, è bellissimo. A. e G. fanno decine di foto. Ci offre l’uovo fritto, e i popcorn e poi mi porta una bottiglia di miele di api selvatiche, si è formato il tappo di cera. B. è commossa, tira fuori tutto quel che ha in casa, ci offre tutto. Dice che sta comprando pian piano il pezzo di terra su cui c’è la sua casa. Costa 70.000 rps (circa 1200€), lo paga un po’ per volta. Lei è sempre bella e ha un viso dolcissimo, i lineamenti caratteristici dei Garo. Alle 19 e 30 cena e poi qui non ci resta che lavarci e andare a letto.

CONTINUA….